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Ottima la cucina giapponese per far “dimagrire” il fegato

Alla pari della mediterranea, anche la cucina giapponese tradizionale (Washoku) è stata riconosciuta dall’Unesco come patrimonio culturale e immateriale dell’umanità. In effetti il modo tutto nipponico di cucinare e di presentare le pietanze (stoviglie comprese) è entrato ormai nelle nostre abitudini.  E una delle ragioni della sua enorme popolarità sta nell’essere considerata una cucina salutare, leggera e basata su ingredienti riconoscibili.

Quando il fegato si ingrossa

A questo proposito, una recente ricerca dell’Osaka Metropolitan University pubblicata su Nutrients ha confermato l’azione salutare della dieta giapponese, concentrandosi però su un aspetto specifico, ossia la steatosi epatica non alcolica (non-alcoholic fatty liver disease, NAFLD) che popolarmente viene chiamata fegato grasso. Per chi non lo sapesse, questa condizione riguarda il 10-25% della popolazione, tanto che si ritiene che ben un italiano su quattro ne soffra. Percentuali già alte che salgono ulteriormente nei soggetti obesi e diabetici, arrivando al 50 per cento. In effetti la steatosi epatica non alcolica è collegata all’eccesso di grasso che si deposita all’interno delle cellule epatiche: aumento non legato, però, al consumo di alcolici bensì – nella maggior parte dei casi – a cattive abitudini alimentari e relativo sovrappeso.

La ricerca, in breve

Tornando allo studio, il team di ricercatori ha monitorato l’alimentazione e la progressione della NAFDL in 136 persone (equamente divise tra maschi e femmine e con un’età media di 60 anni) in cura presso l’Osaka Metropolitan University Hospital.

Più precisamente, gli studiosi hanno valutato l’aderenza dei partecipanti a una lista di 12 elementi della dieta giapponese (12-component Japanese Diet Index o mJDI12). Questi sono: riso, zuppa di miso, alimenti in salamoia o sott’aceto, soia e derivati, verdure verdi e gialle, frutti di mare, alghe, funghi, carne di manzo e maiale, frutta, tè verde, caffè.

Ebbene, i punteggi più alti sono stati associati a un rallentamento della progressione della fibrosi epatica, un’alterazione cellulare che accompagna il fegato grasso. In particolare, nelle persone che consumavano più soia, frutti di mare e alghe si è rilevata la maggiore soppressione della progressione della fibrosi. Inoltre i ricercatori hanno monitorato l’effetto di questa dieta sulla massa muscolare e hanno scoperto che chi mangiava più prodotti a base di soia “costruiva” più muscoli rispetto agli altri, oltre ad avere tassi inferiori di progressione della malattia.

Questo studio indica che il modello dietetico giapponese può essere efficace come trattamento dietetico per i pazienti con NAFLD. Ci auguriamo che ulteriori studi di intervento portino alla definizione di una dieta efficace per quei pazienti“, ha concluso il professor Yoshinari Matsumoto, tra gli autori principali della ricerca.

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